La violenza delle parole
Immagini vive. Quando ricordare insegna
Mercoledì 5 febbraio è stato importante, per la nostra scuola, fare ancora una volta Memoria della Shoah. Ci ha guidati in questo il Prof. Claudio Vercelli, esperto di storia contemporanea, antisemitismo e negazionismo. Lo ha fatto usando anzitutto la potenza di molte immagini fotografiche: alcune note, altre meno, sono state tutte spiegate con particolari asciutti ma efficaci per ognuna, per farci entrare in una storia concreta dove parole e pensieri d’odio hanno preparato lo sterminio. L’incontro era infatti intitolato ”Lessico della violenza – violenza delle parole”. Si è allora compresa meglio tutta l’ambiguità di un sistema di potere che da una parte ambiva al “crimine perfetto”, ovvero l’annullamento della memoria delle vittime, e dall’altra lo voleva spesso “immortalare” sia con foto informali e goliardiche che con immagini di propaganda, proprio per affermare ancora una volta l’assoluta facilità e innocenza di quell’orrore. E’ da questi documenti che ha attinto a piene mani il Prof. Vercelli, accompagnandoci nel vivo di una storia che impressiona e interroga. Il filo rosso che ha legato assieme i tanti discorsi del suo incontro con noi è stato il voler mostrarci l’antisemitismo di allora nella sua spaventosa quotidianità, da molteplici prospettive: cosa accadeva alle coppie miste nel loro quartiere, cosa significava vivere in un ghetto da bambini, le reazioni dei soldati semplici all’ordine di fucilare in massa civili inermi, l’impiego del gas nei Lager, la presenza dei bambini. Tutte nozioni forse già incontrate ma approfondite e condivise per arrivare là dove ogni possibile percorso didattico sulla Shoah dovrebbe portare: avvicinarsi alle diverse “masse” di cui è fatta quella storia per scorgervi l’individuo, il soggetto, la persona.
In questo senso nella massa dei corpi senza vita delle vittime - magari già visti e rivisti fino alla noia - siamo stati più capaci di scorgere tante uniche e irripetibili vite spezzate, così come nella massa di un popolo accecato dall’odio si è visto più lucidamente l’assenso del singolo alla logica perversa dello sterminio, pensato già in sé per essere dimenticato. E di fronte a una foto di gruppo scattata alle guardie di Auschwitz durante un momento di pausa, con pose assolutamente rilassate, sornione e divertite, abbiamo ricordato la grande lezione di Liliana Segre che nel nostro incontro con lei ci spiegò come il livello di umanità sia sempre più basso in chi ha deciso di odiare che in quanti ne sono vittime.
Se abbiamo dunque capito insieme che negare o dimenticare la Shoah prosegue in fondo le stesse ragioni che l’hanno resa possibile, siamo orgogliosi come Scuola di esserci fermati, per un giorno, davanti a questa giusta Memoria. Sono sempre momenti forti, forse talvolta scomodi o faticosi perché si tocca con mano un male imponderabile, ma necessari e formativi, e a questo proposito ricordiamoci, tutti noi studenti e insegnanti, la lettura di Vercelli della dittatura come “bullismo di Stato”, dove il carnefice rivendica sempre una violenza precedente alla propria, da lui subita, e ogni sforzo è impiegato per evitare di venire a patti con la propria moralità.
A fine incontro lo studioso ha chiesto, mostrando un’ultima foto con un desolato primo piano di cumuli di scarpe: “e oggi, di tutto questo, cosa resta?”. Se potremo rispondere che quanto restano sono i volti, i nomi e soprattutto la dignità di chi le indossava, avremo forse iniziato ad imparare una lezione accolta nella vita..
E' POSSIBILE LEGGERE E SCARICARE A FONDO PAGINA ALCUNE RIFLESSIONI DEI NOSTRI STUDENTI